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24 Marzo 2025
TTony Santi riceve la palma di bronzo al merito tecnico per il basket.
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Tony Santi, palma di bronzo al merito tecnico per il basket

Ha compiuto 84 anni da pochi giorni eppure per Antonio Santi, Tony per il mondo del basket che lo ha visto prima allenatore fino alla serie A ed oggi presidente della società Parco di Veio, il tempo sembra non passare. Ha da poco ricevuto, da parte del Coni regionale del Lazio presieduto da Riccardo Viola, la Palma di Bronzo al Merito Tecnico, riconoscimento ad una lunga e vincente carriera. “Scusami, sto cucinando. Se non mi fai bruciare le cose che ho sui fornelli la facciamo ora l’intervista”.

Tony, meglio come chef o come coach?

Su come sia stata la mia storia da allenatore parlano i risultati e giudicano gli altri. In cucina posso dirti che me la so cavare proprio bene.

Riavvolga il nastro dei ricordi. Quando è iniziata la sua carriera da allenatore?

Avevo poco più di 15 anni, era il 1956 e non avrei potuto, anagraficamente, fare il corso da tecnico. Ma mio padre, Sante Santi, riuscì ad infilarmici in mezzo. Conservo ancora la medaglia di partecipazione che ti davano alla fine delle lezioni. Uno degli istruttori, lo ricordo bene, era Ferrero, un vero maestro. Un altro Michelini. Era un altro basket, anzi non era ancora basket ma pallacanestro. Si giocava sui campi all’aperto con le pallonesse che ad ogni rimbalzo cambiavano direzione. Più che partite sembrava di assistere ad una caccia al tartufo con ognuno che andava per conto suo.

Quanto è stata importante la figura di suo padre nella sua carriera?

Papà Sante è stato uno dei pionieri del basket a Roma. A lui il corso allenatori lo fece Van Zandt, praticamente l’uomo che ha portato questo sport in Italia. Si è distino, mio padre, come scopritore di talenti.

Da allora ad oggi la pallacanestro come è cambiata?

Noi pendevamo alla bocca degli allenatori più esperti. Ogni loro consiglio, ogni loro parola la immagazzinavamo per farne tesoro. C’era voglia di ascoltare, di apprendere da chi ne sapeva di più. Io ho fatto gli ultimi anni di corsi assieme a Valerio Bianchini, un caro amico. Poi improvvisamente il basket ha iniziato ad accelerare in avanti. Troppo velocemente secondo me. Siamo passati da uno sport pionieristico al moderno senza un passaggio intermedio, graduale. Sono arrivati i palloni americani, dalle scarpe di tela siamo passati a quelle super ammortizzate. E la pallacanestro è diventata business e spettacolo.

Che ricordi ha delle sue prime squadre allenate?

La prima in assoluto fu quella della scuola Ronconi. Io ero ancora un liceale sbarbato. Poi fu la volta della Leonina, la squadra del Liceo San Leone Magno. Ero l’assistente del professor Combi, una istituzione. Lui era stanco. “Tony, ora tocca a te” mi disse. E così fu. La prima vera esperienza in un club però la ricordo bene: come vice di mio padre santi alla Lazio. Poi sono passato a fare il vice di Paratore, uno che ha fatto la storia di questo sport allenando anche la Nazionale. Era un coach che non inventava nulla, molto logico lineare. La sua grande dote era quella di restare estremamente lucido e fare sempre la scelta giusta per il momento che la partita stava vivendo.

Tony lei è stato un allenatore girovago. Tante piazze importanti, come Latina, Teramo, Viterbo, poi un giorno ha accettato di tornare a Roma, nella Vis Nova. Perché?

C’è sempre lo zampino di mio padre. Io avevo deciso da tempo di fare l’allenatore professionista. Valutavo in base alle offerte che mi arrivavano e alle mie ambizioni. Alla Vis nova c’erano anche i miei fratelli Gianni e Carlo. Papà voleva vederci insieme. Insisteva. Un giorno eravamo a pranzo e davanti ad una teglia di pollo con le patate sterminata ha iniziato a parlare per convincermi. Una miriade di parole e tanto pollo…alla fine ho detto si pur spendo che era un’avventura che non sarebbe durata per sempre. Ottenemmo due promozioni. Però il Vis Nova più di tanto non poteva crescere ed io volevo mettermi ancora alla prova.

E ci è riuscito visto che è arrivato ad allenare in serie A con l’Itacable Perugia.

Ero il coach del Latina. Ero nella città pontina da due stagioni e mi ero accordato con il Presidente Iucci per proseguire e allenare per il terzo anno. Un giorno venne da me Tonino Costanzo, una bandiera del basket romano e laziale, e mi disse del progetto dell’Italcable. Sì proprio la società di telefonia che voleva investire nella pallacanestro. A Roma c’erano già troppe squadre e aveva individuato in Perugia la piazza giusta. C’erano soldi ed ambizioni. E la possibilità di fare bene ad alto livello. Andai da Iucci, gli parlai della grande occasione. Se non mi avesse dato la sua benedizione sarei rimasto a Latina. Lui mi abbracciò e mi disse: vai. È la tua grande occasione. È stato il più grande presidente che ho avuto, non solo per questo episodio.

Così ecco la serie A dove ha avuto modo di allenare un campione della Nba come Wille Sojourner.

Un ragazzo solare, buono, un vero sempliciotto, niente a che vedere con certi califfi americani arrivati in Italia. Come giocatore era un grande concentrato di classe ma con poca resistenza. Non era un atleta eccelso anche se dominava per la stazza. Al momento opportuno, per esperienza e doti tecniche, tirava sempre fuori giocata che ti sbalordiva. Sapeva gestirsi. In alcuni momenti a Perugia ho combattuto perché la società voleva tagliarlo. Chi non capisce di basket restava colpito in negativo se non faceva 30 punti a partita. Ma Willie non era quel tipo di giocatore. Sapeva, pur essendo un pivot puro, essere una guida in campo, un playmaker aggiunto per la grande visione di gioco ed il modo con cui sapeva passare la palla ai compagni. Che lo adoravano per quel suo modo di essere un grand uomo squadra. Sempre sorridente ed a disposizione degli altri. Da neopromossi ci salvammo con quattro, cinque giornate d’anticipo. Molto per merito suo.

Tony giochiamo un po’. Metta in campo il miglior quintetto tra tutti i giocatori che ha allenato.

Vuoi farmi litigare con qualcuno? Però ci sto, fammici pensare. Allora, partiamo dal playmaker. Ho allenato un grande come Mar Campanaro, un oriundo, vero fuoriclasse ma in realtà portava palla ma era una guardia. Allora direi Nevio Ciaralli. Bassissimo, ma dotato di una intelligenza fuori dal comune, di grandi fondamentali e di una velocità supersonica. Un prodotto di quel grande costruttore di campioni che è stato Giancarlo Asteo. Sulla guardia non ho alcun dubbio. Dico Aldo Corno, che poi dopo aver segnato valanghe di punti è diventato anche un grande allenatore. Nel ruolo di ala piccola metto Barraco, un po’ pazzo ma con mezzi fisici pazzeschi. Volava in campo. L’ala grande senza dubbio è John Brown. Era un americano atipico. Nella guida Nba veniva descritto così: anonimo come il suo nome. Era un giocatore silenzioso, più introverso di Sojourner ma era in grado di mettersi al servizio della squadra. Era dotato di un ottimo tiro. Il pivot, ovviamente è Willie. Sojourner resterà il più forte che ho mai allenato.

Il giocatore che non ha espresso mai tutte le sue potenzialità?

Manzotti, lui avrebbe potuto veramente fare molto di più. Sapeva tirare, passare la palla. Aveva un ottimo uno contro uno, peccato per il carattere.

Oggi è ancora coinvolto nel basket come presidente della società Parco di Veio. E’ vero allora che lo sport mantiene giovani?

E’ la società dei miei figli, Giulio e Paolo. Li ho aiutati nell’avviarla, ho dato consigli, oggi do una guardata ai giocatori per scoprire se c’è qualche talento in erba. E’ un club che lavora sul territorio che da Roma Nord si estende fino a Campagnano, Formello ed altre zone limitrofe. Facciamo minibasket e squadre giovanili. Lo sport è linfa vitale, serve per aggregare ed includere. Il basket è la mia vita e la mi vita l’ho dedicata al basket.

 

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